Perché “Salimbanco”?

Nella cultura Inuit, ogni persona ha due nomi: uno è quello usato da tutti, l’altro invece è il “nome spirituale”, rappresentato dall’immagine (di persona, oggetto o animale) che la partoriente ha in mente nel momento in cui il bambino nasce.

Gli Inuit lo considerano il “vero nome” di quella persona perché quell’immagine viene, per così dire, partorita assieme al nascituro e lo rappresenterà, nel bene e nel male, per tutta la vita.

Dare un nome non è dunque solo un atto formale, la scorciatoia menmonica per riferirsi a qualcosa o a qualcuno. Un nome non è solo un’indicazione, un mero segno grafico o un insieme di lettere, ma porta dentro di se’ un’idea che quel nome descrive e rappresenta.

Quando ho iniziato a progettare concretamente questo mio spazio non è stato il nome la prima cosa a cui ho pensato, concentrandomi invece esclusivamente sui contenuti e infatti ad un certo punto mi sono bloccato.

Idee finite, progetto fermo.

Prima di rinunciare definitivamente ho chiesto aiuto: avevo in mente diverse opzioni, ma non riuscivo a trovare la quadra. Poi, finalmente, il suggerimento giusto (grazie, Barbara!) una parola inventata ma reale: “salimbanco”, uno di quei giochi di parole che piacciono tanto a me, una crasi dove il sale appare sia come fondamentale ingrediente alimentare che come cibo per lo spirito.

Perché cum grano salis, come diceva Plinio, tutto migliora: l’acqua disseta di più, il terreno è più produttivo, le teste ragionano meglio e con l’aggiunta di una semplice “t” una parola apparentemente sbagliata acquista improvvisamente significato.

E alla fine la speranza è proprio che questa mia pagina riesca a donare a chi vorrà seguirla quel qualcosa che manca, ma di cui non si conosce ancora il nome.

Chi sono?
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
”follia”.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
”malinconia”.
Un musico allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
”nostalgia”.
Sono dunque… che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore,
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.

(Aldo Palazzeschi)